Mostra fotografica 11-27 Ottobre 2012 @ “OFFICINE K”
“Verso ovest” è il reportage di un viaggio fra la gente e i luoghi degli Stati Uniti, un’immersione profonda in quella realtà tanto occidentale quanto lontana dall’Europa. Ho sentito il bianco e nero come approccio più diretto ed efficace a celebrare il mistero dell’incontro inaspettato, improvviso, anche non gradito, facendomi guidare solo dalla curiosità, l’interesse e l’attrazione provati davanti alla trasparenza dell’attimo. Ne è scaturita una galleria di personaggi protagonisti dello spazio metropolitano, quasi invisibili allo sguardo frettoloso di ogni giorno: dalla vecchietta che si prepara a sfidare il traffico, all’uomo con la busta che gira in mutande per Downtown. Non manca nessuno all’appello, tra asiatici, ispanici, afroamericani, nativi e wasp tutti immortalati per comporre un mosaico di quotidiano americano.
Le immagini presentate in “Verso Ovest” non sembrano far parte di questa epoca così avida di risorse e povera di memoria: al contrario, il loro destino è di durare, di imprimersi in qualche maniera dentro di noi. Uno dei fotografi che stimo maggiormente, Tano D’Amico, ha scritto che costa davvero molta fatica raccontare la realtà attraverso le immagini mantenendo una cura formale adeguata. In questo Davide Mauriello è riuscito appieno, trasmettendo un piacere esclusivo, profondo, immediato, genuino. Ogni giorno guardiamo e bruciamo migliaia di immagini. Tra queste sono pochissime quelle che si ricordano più a lungo, un problema che forse ci si trova ad affrontare per la prima volta dalla nascita della fotografia. Ogni epoca del secolo scorso ha lasciato infatti delle immagini che collettivamente riconosciamo come rappresentative, ma oggi? Quale foto può dirsi rappresentativa di questo decennio? Neanche in episodi eclatanti si riesce a trovarne una che prevalga sulle altre, forse perché vedere troppe foto equivale a non vederne neanche una. Le foto di Davide meritano ben altro approdo che le colonnine dei gossip nei quotidiani online, invadenti come le cavallette. Lascerei il gossip che popola le gallerie fotografiche con venti immagini tutte uguali, a chi si accontenta di pochissimo. Le foto di Davide ci portano più su.
Se un fotografo o una fotografa hanno un buon occhio è normale. Davide, oltre ciò, è anche un tipo con la faccia tosta ed un discreto rompiscatole, è curioso come un bambino e insistente fino a che non raggiunge il suo obiettivo. Questo fa di lui un fotografo esigente e fantastico. Molte di queste foto ci mostrano persone che ci guardano, ci chiedono di metterci in gioco. Quando non sono le persone sono i cani al guinzaglio. E quando le persone non ci guardano sentiamo comunque un legame profondo da subito. Attraverso Davide e la sua macchina fotografica riusciamo a stabilire un contatto, una vicinanza, a capire che le vite di quelle persone, i momenti che Davide ha selezionato per raccontarcele, sono parte di un vissuto collettivo, di una cosa che ci assomiglia molto e accomuna noi ad ognuno dei soggetti rappresentati. In tempi di individualismo sfrenato e suicida, vorace e distratto, mi sembra un patrimonio inestimabile.
Amo questa serie di fotografie dalla prima volta che le ho viste e sono convinto che queste foto abbiano la capacità di raggiungere l’anima e la mente di chi le guarda, di stimolare la curiosità, di provocare empatia, sensazione o sentimento al quale sono molto legato e del quale, mi pare, là fuori se ne stiano perdendo le tracce. Sono immagini in cui è il fotografo che fa la prima mossa, che si mette in ballo con amore e rispetto verso i soggetti fotografati. E anche se non succede nulla di eclatante, se i momenti sono quelli della vita quotidiana, lungo il percorso di queste immagini si forma la sensazione di conoscere meglio il luogo e le persone che lo abitano. Viene voglia di fare un altro giro, di volerne vedere ancora. Non è poco.
Enrico Natoli, fotografo.